Uno spin-off del Tigem che si occupa di un problema tecnologico molto rilevante: la scarsa capienza dei vettori virali, che ne limita l’applicazione a malattie dovute a geni di grandi dimensioni.

Alberto Auricchio

Lo scorso giugno la stampa nazionale e internazionale ha riportato la notizia di un investimento record di oltre 61 milioni di euro da parte di importanti investitori stranieri in un’azienda biotecnologica italiana: una notizia che parla di eccellenza “made in Italy”, ma anche di come la Fondazione Telethon sappia valorizzare la propria ricerca.

AAVAntgarde Bio – questo il nome della company – è infatti una “spin-off” dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, nata nel 2021 grazie al fondo di investimento Sofinnova-Telethon.

La sua attività ruota attorno a un problema tecnologico molto rilevante: la scarsa capienza dei vettori virali, che ne limita l’applicazione per la terapia genica delle malattie dovute a difetti in geni di grandi dimensioni. Il patrimonio genetico di qualsiasi virus è molto più piccolo di quello delle nostre cellule: per avere un’idea, il virus più grande ad oggi descritto, il Mimivirus, ha un genoma lungo circa la metà di quello del gene della distrofina umana, il più grande in assoluto e associato alla distrofia muscolare di Duchenne.

Del resto, i virus si sono evoluti per sfruttare le funzioni delle cellule ospiti, limitando all’essenziale le informazioni che portano con sé. Se da una parte gli scienziati hanno imparato a trasformare alcuni virus in vettori per il trasferimento di geni terapeutici, molto spesso si sono però scontrati con un limite di ingombro: un problema di cui si occupa da molti anni con il suo gruppo Alberto Auricchio, responsabile del programma di Terapie molecolari del Tigem e professore ordinario di Genetica Medica all’Università “Federico II” di Napoli, nonché fondatore di AAVAntgarde Bio.

Lo schema di nuove tecniche di terapia genica, basate su due piattaforme: il sistema “Dual Hybrid” e quello basato sulle inteine

«Fin dagli inizi della mia carriera mi sono occupato di terapia genica di malattie ereditarie della retina: tra queste c’è l’amaurosi congenita di Leber, per la quale è stato approvato il primo farmaco di terapia genica al mondo per una forma ereditaria di cecità, ma anche le sindromi di Stargardt e di Usher, per le quali lo stesso approccio risultava impraticabile viste le dimensioni del gene coinvolto, troppo grande rispetto ai vettori utilizzati, quelli di tipo adeno-associato (AAV). Abbiamo quindi cominciato a cercare soluzioni alternative per superare questo limite». A partire dal 2012, grazie al supporto di Telethon e di fondi competitivi come quelli messi a disposizione dallo European Research Council (ERC), Auricchio e il suo team hanno sviluppato due piattaforme che consentono di suddividere il carico di materiale genetico in più veicoli virali, facendo comunque in modo che alla fine la cellula produca la proteina terapeutica completa.

L’Europa ha creduto fortemente in questo progetto: dopo un primo finanziamento ERC da 1,5 milioni di euro per il disegno della piattaforma, Auricchio ne ha vinto un secondo da 150 mila euro focalizzato proprio sugli strumenti che ne potessero permettere il passaggio dal laboratorio alla clinica, in particolare per la sindrome di Usher 1B, in cui al deficit visivo si associa anche la sordità.

Nel 2018 ne è poi arrivato uno ancora più sostanzioso dall’Unione europea – ben 6 milioni di euro – che ha permesso di costruire la rete di partner necessari per l’avvio della sperimentazione sull’uomo.  Come spiega Annamaria Merico, responsabile del trasferimento tecnologico di Telethon, «perché una buona idea diventi un potenziale strumento terapeutico occorre che questa visione sia presente fin dall’inizio nella mente del ricercatore. Poi, una volta dimostrata la sua potenzialità in laboratorio, servono studi che permettano, per esempio, di valutare la dose più adatta, la tossicità potenziale del farmaco, la storia naturale della malattia che si vuole provare a trattare. È importante anche individuare i partner per far avanzare il progetto, che possano fornire competenze essenziali, come per esempio quelle cliniche o di produzione del vettore. In questo senso, Telethon ha accompagnato i ricercatori in tutto il percorso».

L’arrivo di importanti capitali industriali - nel 2021 da parte del fondo Sofinnova-Telethon e nel 2023 da tre importanti società di investimento internazionali come Atlas Venture, Forbion e Longwood - non sono che la conferma del valore della piattaforma di trasferimento genico messa a punto dai ricercatori del Tigem, che apre molte prospettive nel campo della terapia genica.

«La prima malattia - spiega Auricchio - su cui testeremo il nostro approccio, è la sindrome di Usher 1B. Sappiamo però che ci sono oltre un migliaio di geni-malattia di grosse dimensioni che al momento non sono “impacchettabili” nei vettori attuali e diverse centinaia le malattie genetiche che potrebbero potenzialmente beneficiarne. Vorremmo innanzitutto offrire una terapia ai pazienti con sindrome di Usher 1b, ma anche dimostrare la fattibilità di un approccio che altri in futuro potrebbero applicare a svariate patologie oggi incurabili».

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