Nella Giornata internazionale dei diritti delle donne ricordiamo alcune scienziate che hanno dato contributi fondamentali agli ambiti della ricerca dei quali si occupa Fondazione Telethon.

Farmaci innovativi, terapia genica e cellulare, editing genetico: sono prodotti e tecnologie che rappresentano le nuove frontiere della cura delle malattie genetiche rare. Tutti affondano le loro radici in decenni di ricerca biologica e biochimica di base, nella quale è stato spesso fondamentale, per quanto poco riconosciuto se non apertamente osteggiato, il contributo femminile. In questo 8 marzo abbiamo pensato di ricordare alcune scienziate che con il loro lavoro hanno portato ad avanzamenti fondamentali negli ambiti di ricerca dei quali si occupa Fondazione Telethon.

Nettie Stevens

Negli esseri umani (come in molti altri animali) la determinazione del sesso ha un'origine cromosomica: le femmine presentano nelle loro cellule due cromosomi sessuali di tipo X, i maschi un cromosoma X e un cromosoma Y. A descrivere in modo indipendente l'uno dall'altro questo meccanismo sono stati nei primi anni del Novecento la biologa americana Nettie Stevens (1861-1912) e lo zoologo conterraneo Edmund Beecher Wilson (che ha sempre riconosciuto e incoraggiato il lavoro della collega).

Dopo aver fatto l'insegnante, a 35 anni Stevens ha deciso di approfondire gli studi di biologia, iscrivendosi all'Università di Stanford, in California, dalla quale è poi passata al Bryn Mawr College, in Pennsylvania. La sua principale scoperta è avvenuta grazie all'osservazione al microscopio dei cromosomi presenti nelle cellule di alcune tarme della farina: mentre in quelle delle femmine erano presenti 20 cromosomi di grandi dimensioni, in quelle dei maschili ce n'erano 19 grandi e uno più piccolo e di forma differente.

Molte malattie genetiche rare si ereditano con una modalità che si dice “legata all'X”. Significa che il gene responsabile della malattia si trova proprio sul cromosoma X. Nella grande maggioranza dei casi, l'eredità legata all’X è di tipo recessivo, per cui in genere solo i maschi manifestano la malattia. Questo accade perché i maschi hanno un solo cromosoma X e se questo porta una versione mutata del gene, non c'è una seconda copia sana (su un secondo cromosoma X) che potrebbe farne le veci. Nelle femmine entrambi i cromosomi X dovrebbero portare il gene mutato perché si manifesti la malattia, ma questo accade molto raramente. I maschi malati non trasmettono mai la malattia a eventuali figli maschi (che da loro ereditano solo il cromosoma Y), mentre tutte le loro figlie saranno portatrici, perché avranno ereditato il cromosoma X alterato. Si trasmettono con questa modalità malattie come la distrofia di Duchenne o l'emofilia. Molto più rara l'eredità legata all'X di tipo dominante: in questo caso anche le femmine manifestano la malattia perché basta l’alterazione di uno solo dei due cromosomi X per provocarla. 

Gerty Cori

È stata la prima donna a ricevere, nel 1947, il premio Nobel per la medicina, condiviso con il marito Carl Cori e con Bernardo Alberto Houssay. A Gerty (1896-1957) e Carl Cori, arrivati negli Stati Uniti da Praga nei primi anni Venti del secolo scorso, il premio è stato assegnato per i loro studi sul metabolismo degli zuccheri e in particolare sui meccanismi di interazione tra glucosio e glicogeno (un polimero del glucosio che costituisce un'importante riserva energetica dell'organismo, immagazzinata nel fegato e nei muscoli). Ai due scienziati, che hanno lavorato insieme per tutta la vita anche se era in genere il marito a ricevere (non per sua volontà) i riconoscimenti maggiori, va anche il merito di aver approfondito lo studio degli enzimi e di aver compreso che molte malattie sono causate dalla mancanza o dal malfunzionamento di un enzima.

Sono molte le malattie genetiche rare che dipendono da assenza, carenza o malfunzionamento di un enzima. Tra queste ricordiamo la malattia di Pompe (glicogenosi di tipo 2), causata dal deficit di un enzima deputato allo smaltimento del glicogeno all'interno di organuli cellulari chiamati lisosomi, o la malattia di Fabry, in cui a mancare o funzionare male è un enzima responsabile del “riciclaggio” cellulare di un particolare gruppo di glicolipidi.

Martha Chase

È l’autrice, insieme al collega Alfred Hershey, di uno dei più celebri esperimenti della storia della biologia, grazie al quale nel 1952 è stato possibile provare in maniera definitiva che il materiale genetico è costituito da Dna.

Chase (1927-2003)  era un’esperta di batteriofagi o fagi, virus che infettano batteri composti da una molecola di Dna rivestita da un involucro proteico. Dunque non potevano essere che il Dna o le proteine a veicolare l’informazione genetica e per capire dove questa risiedesse davvero i due scienziati americani progettano un esperimento tanto brillante quanto semplice.

Per prima cosa marcarono con una sostanza radioattiva il Dna di fagi usati per infettare dei batteri e in parallelo infettarono altri batteri con fagi nei quali erano state invece marcate le proteine. Poi frullarono separatamente (non è una metafora: usarono proprio un frullatore!) i batteri infettati con i due tipi di fagi, in modo da far staccare i virus dalle cellule batteriche. Analizzando i batteri ottenuti, scoprirono che nei batteri si trovava solo il Dna marcato, mentre le proteine marcate rimanevano nella soluzione. Poiché a entrare nelle cellule batteriche era il Dna, non poteva che essere questo il materiale genetico del virus.

La scoperta che il Dna costituisce il materiale genetico delle cellule è la base sulla quale poggia tutta la ricerca sulle malattie genetiche. Oggi l’analisi della sequenza del Dna rappresenta un passo fondamentale nella ricerca sulle cause di una malattia, come accade per esempio nel Programma malattie senza diagnosi di Fondazione Telethon.

Rosalind Franklin

È probabilmente l’esempio oggi più noto di quanto possa essere misconosciuto il contributo femminile all’impresa scientifica. È stato infatti il suo lavoro di cristallografa a fornire le prove sperimentali grazie alle quali il fisico Francis Crick e il genetista James Watson descrissero nel 1953 la struttura a doppia elica della molecola di Dna. La cristallografia a raggi X è una tecnica che permette di stabilire la struttura di macromolecole come proteine e acidi nucleici: nel 1952 Fraklin (1920-1958) produsse un’immagine cristallografica del Dna che ne suggerivano la forma a elica. Per quanto fondamentale, il suo contributo all’ipotesi di Watson e Crick venne a lungo trascurato, messo in secondo piano o addirittura ignorato.

Aver capito com’è fatta la molecola di Dna è stato il primo passo per capirne il funzionamento come depositaria dell’informazione genetica: un passo che ha dato l’avvio all’era della biologia molecolare, di cui le nuove tecniche di editing genetico sono solo gli ultimi frutti.

Dopo quella fondamentale “fotografia” a raggi X della molecola del Dna, Franklin ha spostato la sua attenzione allo studio della struttura di virus che attaccavano le piante e al virus della poliomielite: studi per i quali il suo collaboratore Aaron Klug ricevette nel 1982 il premio Nobel per la chimica. Nella sua lezione magistrale alla consegna del premio, Klug sottolineò che era stata Rosalind Franklin a dargli l’esempio di come affrontare problemi vasti e complessi. “Se la sua vita non fosse stata tragicamente breve (era morta nel 1958, a 48 anni, per un cancro dell’ovaio), sarebbe stata nel posto in cui mi trovo ora in una precedente occasione”.

Margaret Belle Dayhoff

Fisica chimica per formazione, è stata una pioniera nell’ambito della bioinformatica, una disciplina che permette di organizzare dati biologici in modo da poterne estrarre conoscenza attraverso la combinazione di metodi informatici, statistici, matematici e di ingegneria. In particolare, Dayhoff (1925-1983)  si è dedicata all’applicazione in ambito biologico e medico delle tecnologie computazionali emergenti, con la creazione sia di database di sequenze di proteine e di acidi nucleici sia di strumenti per “interrogarli”. Il suo lavoro più noto è il cosiddetto Atlas, una raccolta di tutte le sequenze proteiche note al momento della pubblicazione, nel 1965, aggiornata in una serie di edizioni successive.

Oggi gran parte della ricerca biologica è impensabile senza un approccio di bioinformatica, che nell’ambito delle malattie genetiche rare permette per esempio di analizzare il comportamento e l’interazione tra i geni, sviluppare modelli matematici di processi biologici, studiare il possibile utilizzo alternativo di farmaci già noti, trovare le cause genetiche di malattie senza diagnosi. Esattamente ciò di cui si occupa l’unità di bionformatica guidata da Diego Di Bernardo presso l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli.

Françoise Barré-Sinoussi e Flossie Wong-Staal

Entrambe hanno a che fare con il virus dell’HIV. La prima, Barré-Sinoussi (1947 - ), osserva per la prima volta il virus HIV al microscopio elettronico nel 1983: per la scoperta di questo virus riceverà nel 2008 il premio Nobel per la medicina con il collega Luc Montagnier. Wong-Staal (1946-2020) è stata invece la prima ad aver “clonato il virus” (in biologia molecolare, il clonaggio è una tecnica di ingegneria genetica che permette di ottenere milioni di copie di una sequenza di materiale genetico, per poterla studiare meglio), identificando la funzione dei suoi geni. Ha inoltre fatto parto del team che ha definitivamente indicato il virus HIV come causa dell’AIDS

Per quanto possa sembrare sorprendente, il virus HIV è alla base di una classe di vettori per la terapia genica, i vettori lentivirali, considerati tra i più sicuri ed efficienti. Il primo a pensare a questo possibile utilizzo è, alla metà degli anni Novanta, lo scienziato torinese Luigi Naldini, allora in trasferta al Salk Instituto di La Jolla, in California e oggi direttore dell’Istituto San Raffaelte Telethon per la terapia genica (Tiget) di Milano. Negli Stati Uniti Naldini mostra che il virus HIV, dopo opportune modifiche, può essere sfruttato come vettore per trasportare materiale genetico in cellule che non si duplicano, come quelle nervose. Negli anni successivi, con il suo team smonta il virus Hiv pezzo per pezzo, eliminando gli elementi pericolosi e lasciando quelli utili nella prospettiva di farne un vero “traghettatore di geni”. Grazie al lavoro di Naldini e di Fondazione Telethon, nel 2020 la terapia genica con un vettore lentivirale per il trattamento della leucodistrofia metacromatica, una gravissima malattia genetica, è diventata un farmaco, Libmeldy, disponibile anche in Europa.

Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna

Sono le ideatrici del sistema di forbici genetiche Crispr/Cas9, considerato una tecnologia rivoluzionaria per le scienze della vita. Si tratta di una tecnica di editing genetico, che permette di individuare e correggere in modo molto specifico eventuali errori della molecola di Dna proprio come fa un correttore di bozze con i refusi di un testo. Alla base di questa tecnologia c’è un sistema utilizzato dai batteri per difendersi dalle infezioni virali, perché permette ai batteri stessi di riconoscere e tagliare il Dna virale, inattivandolo. Il sistema è composto dalla combinazione di particolari sequenze genetiche chiamate CRISPR e proteine chiamate Cas, ma le due ricercatrici – l’americana Doudna(1964 - ) e la francese Charpentier (1968 - )  – hanno l'intuizione di modificarlo per permettergli di intervenire su qualunque molecola di DNA si desideri, dunque potenzialmente anche il gene difettoso alla base di una malattia. Nasce così CRISPR/Cas9, per la quale Doudna e Charpenter hanno ricevuto nel 2020 il premio Nobel per la chimica.

La tecnologia è molto promettente anche per l’ambito delle malattie genetiche rare: sono già in corso sperimentazioni cliniche per malattie del sangue come anemia falciforme e beta-talassemia e per malattie ereditarie dell'occhio, mentre per malattie come la distrofia muscolare, l'atrofia muscolare spinale (SMA) e la malattia di Huntington si sta lavorando in ambito preclinico. Poche settimane fa, il gruppo di ricerca guidato da Luigi Naldini ha pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine un articolo che mostra come la tecnica CRIPSR-Cas9 potrebbe consentire di correggere il difetto genetico alla base della sindrome da Iper IgM, una rara malattia genetica del sistema immunitario.

Anche Raffaella Di Micco, ricercatrice dell'SR-Tiget che si occupa di nuovi approcci terapeutici di terapia genica e cellulare per il trattamento delle malattie ereditarie del sangue e ha ricevuto nel 2020 due tra i più prestigiosi premi e finanziamenti internazionali, utilizza nel proprio lavoro tecniche di editing genetico.

Lydia Villa-Komaroff

Biologa molecolare, nella seconda metà degli anni Settanta ha dato un contributo importante al gruppo di ricerca che ha scoperto come utilizzare cellule batteriche per produrre insulina attraverso la nuova tecnologia del Dna ricombinante. L'insulina è il principale ormone umano coinvolto nella regolazione del metabolismo del glucosio ed è fondamentale per il trattamento del diabete, una malattia che colpisce in Italia circa 3 milioni di persone, di cui 300 mila affette dal tipo 1, che si manifesta fin dall'infanzia. Prima delle innovazioni promosse da Villa-Komaroff (1947 - ) e colleghi l'insulina veniva estratta da tessuti animali, ma aveva diversi limiti. Lydia Villa-Komaroff è stata una dei primi americani di origine messicana a ottenere un dottorato di ricerca, conseguito al Massachusetts Institute of Technology. Si è sempre impegnata a fondo per incoraggiare i giovani di minoranze etniche a studiare discipline scientifiche.

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